In tema di prelazione agraria, il ricorso ad una operazione negoziale complessa, avente ad oggetto il trasferimento di un fondo agricolo a mezzo di strumenti contrattuali che, pur leciti, siano finalizzati, nel loro nesso teleologico, ad impedire che l'affittuario eserciti la prelazione, così assicurando l'obiettivo che la legge vieta, deve costituire oggetto di indagine processuale, il cui accertamento, se positivo, non comporta la nullità dei contratti, esulando la fattispecie dalla previsione dell'art. 1418 cod. civ. e dalla tutela generalizzata di cui all'art. 1421 cod. civ., ma consente al titolare del diritto di retratto, attraverso un meccanismo di protezione che richiama le nullità relative, l'esercizio del medesimo diritto, mediante sostituzione dell'acquirente voluto dal venditore con il soggetto individuato dalla legge. (Nella specie, il ricorrente era coltivatore diretto di un fondo in proprietà dei convenuti, i quali, nello spazio di circa tre mesi, dopo avere ottenuto da un istituto di credito due mutui garantiti da ipoteca sul fondo, con successivo atto notarile avevano conferito lo stesso in una società di persone, con aumento del capitale sociale ed accollo del mutuo sulla medesima, per poi cedere, con un ultimo atto, le quote sociali ad altri soci).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. M.L. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Crema, la s.a.s. Corteverde di Chiara Tomasoni, unitamente a T.R., E. e C., nonchè D. G., B.L., I. e G., chiedendo che fosse riconosciuto il suo diritto di riscatto agrario, in qualità di affittuario coltivatore diretto del fondo rustico di proprietà dei D., in relazione al fondo che i convenuti D. avevano venduto in violazione del suo diritto di prelazione.
A sostegno della domanda espose che il risultato di aggiramento del diritto di prelazione era stato ottenuto attraverso una complessa operazione fatta di contratti tra loro collegati. In particolare, i D. avevano prima ottenuto due mutui bancari garantiti da ipoteca sul fondo agricolo da lui condotto, per l'importo complessivo di L. 3.450.000.000; avevano poi sottoscritto, subito dopo, un aumento di capitale della società Corteverde, mediante il conferimento di fondi (fra i quali quello da lui condotto) ed accollo dei mutui da parte della società; quindi avevano ceduto alla società Corteverde tutte le loro quote societarie, per il valore di L. 550.000.000. Questa complessa ed articolata operazione era finalizzata, secondo la prospettazione dell'attore, ad aggirare il suo diritto di prelazione.
Si costituirono tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e chiamando in causa la Banca intesa (che aveva concesso i mutui), la quale pure si costituì chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda.
2. La pronuncia è stata appellata dal M. e la Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 6 ottobre 2010, ha respinto il gravame, confermando la pronuncia di primo grado e compensando integralmente tra tutte le parti le spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale che l'appellante non aveva più coltivato, nel corso del giudizio, la questione relativa alla presunta simulazione dei contratti realizzati dai convenuti, mirando solo a far riconoscere il suo diritto di prelazione. La soluzione data dal Tribunale, tuttavia, è parsa alla Corte d'appello condivisibile; ed invero, pur dichiarando di comprendere i dubbi e le perplessità circa la complessiva operazione compiuta dai D., la Corte bresciana ha innanzitutto rammentato la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il diritto di prelazione dell'affittuario coltivatore non sussiste nel caso di conferimento di fondo rustico in società di capitali, non configurandosi in tal caso un'alienazione a titolo oneroso, perchè il trasferimento del bene trova un corrispettivo nell'acquisto della qualità di socio.
Ha pertanto ritenuto la Corte che tale principio fosse applicabile anche alla società di persone, la quale costituisce comunque una forma di comunione particolarmente qualificata dallo scopo ed unificata in funzione dello stesso. Ed ha condiviso il ragionamento del primo giudice nella parte in cui aveva posto in luce che tutti i contratti stipulati dai D. erano "liberamente voluti e pienamente legittimi".
3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Brescia propone ricorso M.L., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della azienda agricola "La fontana" di C. e M., con atto affidato a sei motivi.
Resistono la s.a.s. Corteverde di Chiara Tomasoni, unitamente a T.R., E. e C., con un unico controricorso.
Il ricorrente ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre innanzitutto rilevare che la parte ricorrente ha depositato, unitamente alla memoria, anche una serie di documenti relativi al giudizio di merito, alcuni dei quali sono richiamati nel corpo del ricorso. L'art. 372 cod. proc. civ., com'è noto, circoscrive la possibilità di produzione documentale nel giudizio di cassazione ad ipotesi ben delimitate (nullità della sentenza impugnata, ammissibilità del ricorso e del controricorso); ne consegue che, trattandosi di produzione avvenuta al di fuori dei casi previsti dalla legge, il Collegio non ne terrà conto in sede di decisione.
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 e della L. 14 agosto 1971, n. 817, per errata qualificazione ed interpretazione della norma che prevede la prelazione del conduttore, ritenuta a torto come non imperativa.
Rileva il ricorrente - con ampi richiami di giurisprudenza relativi al negozio indiretto, al negozio simulato ed alla natura del diritto di prelazione agraria - che la stessa Corte d'appello ha riconosciuto l'esistenza di un procedimento indiretto, finalizzato ad una complessiva frode alla legge. Tuttavia la Corte non ha ritenuto che la norma in tema di prelazione agraria abbia natura imperativa ed ha quindi erroneamente negato fondamento alla domanda di riscatto, rilevando che l'attore poteva avere diritto soltanto al risarcimento del danno.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell'art. 1344 cod. civ., per mancata considerazione del collegamento negoziale esistente, finalizzato all'unico scopo di raggiungere il risultato di eludere l'applicazione di una norma imperativa.
Rileva il ricorrente che il richiamo, da parte della sentenza in esame, alla giurisprudenza relativa all'esclusione del diritto di riscatto in caso di conferimento del fondo in una società, pur astrattamente corretto, non si attaglia al caso di specie. Nel caso in esame, infatti, non vi era alcun vincolo sociale effettivo tra i D. e gli acquirenti T. e società Corteverde, perchè i D. avevano ceduto le loro quote societarie dopo un brevissimo tempo (meno di un mese); per cui sarebbe evidente, secondo il ricorrente, che ci si trova in presenza di un procedimento indiretto "funzionalmente collegato e finalizzato a perseguire il risultato della compravendita", procedimento realizzato "chiaramente in frode alla legge". Tale insieme di contratti collegati sarebbe non tanto in frode alla legge, quanto propriamente contra legem; e, nella specie, l'ordinamento prevede appositamente il meccanismo del riscatto agrario per ripristinare il diritto di prelazione leso, senza necessità di dichiarare la nullità dei contratti.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione di legge per errata applicazione dell'art. 1418 cod. civ., conseguente al non aver considerato la deroga di cui all'ultima parte del comma 1 di tale disposizione.
Rileva il ricorrente che sarebbe errato il convincimento del giudice d'appello circa la necessità di dichiarare comunque nullo il contratto in frode alla legge. A norma dell'art. 1418 c.c., comma 1, infatti, devono farsi salve le ipotesi nelle quali la legge ha previsto specificamente il rimedio; e, nella specie, il rimedio è costituito proprio dall'esercizio del diritto di riscatto, che rappresenta lo strumento scelto dal legislatore per comporre il conflitto di interessi tra il proprietario ed il titolare del diritto di prelazione.
4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell'art. 1344 cod. civ., per mancata considerazione dell'illiceità della causa del procedimento indiretto.
La sentenza impugnata, secondo il ricorrente, non avrebbe affatto considerato l'insieme dei contratti nella loro complessiva attitudine a costituire un risultato contrario alla legge e finalizzato proprio all'obiettivo di eludere il diritto di prelazione.
5. I quattro motivi ora riportati, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi fra loro nonostante la diversità delle argomentazioni giuridiche a sostegno, sono tutti fondati.
5.1. Ai fini di un corretto inquadramento della complessa vicenda, è opportuno prendere le mosse da quelli che sono i dati di fatto pacifici, in quanto riconosciuti dalla sentenza impugnata e sostanzialmente non contestati dalle odierne parti. Questi dati possono essere così riassunti: 1) l'odierno ricorrente M. era affittuario coltivatore diretto di un fondo di proprietà dei convenuti D.; 2) con due atti, rispettivamente del 10 dicembre 1999 e del 27 gennaio 2000, i D. ricevettero altrettanti mutui dalla CARIPLO, di lire 2.500.000.000 e lire 950.000.000 - ossia per la somma totale di lire 3.450.000.000 - dietro concessione di ipoteca sul fondo di loro proprietà; 3) con successivo atto notarile del 28 febbraio 2000 i medesimi D. conferirono il fondo così ipotecato nella s.a.s. Corteverde, contestualmente provvedendo all'aumento di capitale della medesima, mentre la società si accollò i mutui concessi dalla CARIPLO; 4) in data 24 marzo 2000 i D. cedettero per intero le loro quote sociali nella società Corteverde ai soci T., pure convenuti nell'odierno giudizio.
A fronte di questo svolgimento cronologico dei fatti, la Corte d'appello, confermando la pronuncia del Tribunale, ha costruito la propria motivazione di rigetto essenzialmente su due argomentazioni:
la prima, che i contratti in questione erano da ritenere liberamente voluti dalle parti e pienamente legittimi; la seconda, che non sussiste violazione delle norme in tema di prelazione agraria ove il fondo rustico venga conferito in una società di capitali, poichè in tal caso non c'è un'alienazione a titolo oneroso in quanto la controprestazione è costituita dall'acquisto della qualità di socio. Questo principio, tratto dalla sentenza di questa Corte 29 novembre 2005, n. 26044, è stato dalla Corte di merito ritenuto applicabile anche alle società di persone (la Corteverde, infatti, è una società in accomandita semplice), trattandosi pure in questo caso di "una forma di comunione particolarmente qualificata dallo scopo ed unificata in funzione di esso".
5.2. L'odierno ricorso formula, come si è visto, una serie di censure nelle quali invoca la sussistenza di un vizio dei contratti sopra indicati, fondato sia sul regime della nullità del contratto che su quella del contratto in frode alla legge.
E' opportuno, innanzitutto, ricordare che questa Corte ha già insegnato, anche se in un relazione ad una fattispecie del tutto diversa da quella odierna, che sussiste una netta differenza tra il negozio indiretto e la simulazione relativa; mentre in quest'ultima, infatti, le parti vogliono porre in essere un atto reale, nascondendolo sotto le diverse e fittizie apparenze di un atto diverso, palese ma meramente illusorio, e rivolto a nascondere l'atto vero, con il primo (denominato anche procedimento indiretto), invece, le parti, proponendosi di realizzare una particolare finalità, ricorrono alla combinazione di più atti, tutti veri e reali e non illusori, collegandoli insieme, in modo da giungere al fine ultimo propostosi per via indiretta ed attraverso il concorso e la reciproca reazione delle varie forme giuridiche collegate (sentenza 6 aprile 2006, n. 8098). L'istituto del negozio indiretto, d'altronde, è ben noto nel nostro ordinamento (basti pensare alla donazione indiretta) e non è, in sè e per sè, vietato, a condizione che non si riveli uno strumento per giungere, attraverso una sequela di atti leciti, voluti dai contraenti e, perciò, validi, ad un risultato finale che è vietato dalla legge o, comunque, in frode alla legge.
Proprio avendo come punto di riferimento la figura del contratto in frode alla legge, gli odierni controricorrenti hanno richiamato, a difesa della sentenza impugnata, l'autorità della pronuncia 25 ottobre 1993, n. 10603, delle Sezioni Unite di questa Corte, traendo da essa il convincimento che il nostro ordinamento non riconoscerebbe come illecito il fine di recare pregiudizio ad altri; detto in termini più semplici, non sussisterebbe la figura del contratto in frode alla parte.
La citata sentenza delle Sezioni Unite contiene, a questo proposito, il seguente passaggio: "La nozione di illiceità cui fa riferimento l'art. 1345 cod. civ. è quella stessa delineata dagli artt. 1343 e 1344 ai fini dell'illiceità della causa, per cui il motivo è illecito, e - se comune alle parti e decisivo per la stipulazione - determina la nullità del contratto, quando consiste in una finalità vietata dall'ordinamento, perchè contraria a norma imperativa o ai principi dell'ordine pubblico o del buon costume, ovvero perchè diretta ad eludere, mediante la stipulazione del contratto (di per sè lecito), una norma imperativa. L'intento delle parti di recare pregiudizio ad altri, quindi, ove non sia riconducibile ad una di dette fattispecie, non è illecito, non rinvenendosi nell'ordinamento una norma che sancisca - come per il contratto in frode alla legge - l'invalidità del contratto in frode ai terzi ai quali l'ordinamento appresta, invece, in determinate ipotesi, altri rimedi a tutela dei loro diritti".
Osserva questo Collegio, peraltro, che la pronuncia in esame aggiunge, subito dopo il passaggio ora trascritto, che non danno luogo a nullità del contratto l'intento di frodare i creditori (tutelato, ad esempio, con le azioni revocatorie), nè lo scopo di impedire l'esercizio di un diritto (si fa riferimento, a tale proposito, proprio all'istituto della prelazione agraria, evidenziando che essa è tutelata dal diritto di riscatto). Sicchè la pronuncia delle Sezioni Unite indica, sia pure con un'affermazione apparentemente marginale, quale sia la corretta lettura del sistema, come di qui a poco si dirà.
5.3. Volendo allargare la prospettiva del discorso che si sta svolgendo, occorre richiamare anche la giurisprudenza - maturata proprio nella materia dei contratti agrari ed ampiamente indicata dall'odierno ricorrente - in tema di nullità del contratto ai sensi dell'art. 1418 c.c..
Costituisce consolidato orientamento, al riguardo, il principio secondo cui la violazione di una norma imperativa non da luogo necessariamente alla nullità del contratto, giacchè l'art. 1418 c.c., comma 1, con l'inciso "salvo che la legge disponga diversamente", esclude tale sanzione ove sia predisposto un meccanismo idoneo a realizzare ugualmente gli effetti voluti della norma. Ne consegue che la vendita di un fondo rustico compiuta senza il rispetto delle norme sul diritto di prelazione di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8 ed alla L. n. 817 del 1971, art. 7, non è viziata da nullità ai sensi del citato art. 1418 (nè ai sensi dell'art. 1344 cod. civ.), sussistendo il rimedio dell'esercizio del riscatto (da parte degli aventi diritto alla prelazione) idoneo a conseguire il medesimo obiettivo normativo tutelato dal diritto di prelazione (sentenze 24 maggio 2003, n. 8236, 25 luglio 2008, n. 20428, e 11 dicembre 2012, n. 22625).
Ritiene il Collegio che possa essere utilmente richiamata, in proposito, la figura delle cd. nullità relative o nullità di protezione. Il vizio insito nel contratto posto in essere allo scopo di impedire al titolare del diritto di prelazione il concreto esercizio del medesimo non può essere fatto valere da chiunque, perchè la legge conosce il rimedio specifico del riscatto e lo affida, per così dire, nelle mani del solo avente diritto alla prelazione. In altre parole, se costui non agisce con il riscatto, il contratto rimarrà valido ed efficace per tutti, perchè l'assenza di una nullità ai sensi dell'art. 1418 cod. civ. non consente la generalizzata tutela di cui all'art. 1421 c.c.. La nullità fatta valere dal soggetto protetto attiene ad un solo punto, cioè quello dell'individuazione dell'acquirente, perchè chi agisce per il riscatto chiede che all'acquirente voluto dal venditore venga sostituito il soggetto individuato dalla legge, cioè egli stesso, secondo un meccanismo che in qualche modo ricorda l'inserzione automatica delle clausole di cui all'art. 1419 c.c., comma 2.
D'altra parte, la giurisprudenza di questa Corte ha affrontato il problema anche sotto l'angolo visuale del contratto in frode alla legge, osservando che il giudice di merito è tenuto non soltanto a verificare che il singolo contratto non persegua una finalità vietata dalla legge, ma anche ad accertare che un contratto astrattamente lecito non sia stato piegato, nella specie, al raggiungimento di un fine vietato dall'ordinamento.
Proprio la sentenza n. 26044 del 2005 di questa Corte, sopra richiamata, contiene, al riguardo, spunti preziosi, là dove osserva - in una fattispecie non molto diversa da quella odierna - che non ha importanza sostenere che il conferimento di un fondo rustico in una società di capitali non viola il diritto di prelazione ove concretamente si accerti, invece, che l'operazione era finalizzata proprio al raggiungimento di un obiettivo che la legge intende vietare (ossia l'aggiramento del diritto di prelazione).
Allo stesso modo, sia pure in una fattispecie affatto diversa, la sentenza 14 settembre 2012, n. 15449, di questa Corte ha affermato che un'indagine in ordine alla funzione obiettiva del negozio posto in essere "non può prescindere dall'apprezzamento degli interessi che lo stesso è destinato a realizzare, quali emergono dalle circostanze obiettive (pregresse, coeve e successive alla sua conclusione) secondo la valutazione, riservata al giudice del merito, del materiale probatorio acquisito. E, ove da tale indagine risulti che le parti abbiano utilizzato un determinato modello negoziale per realizzare una funzione obiettiva che sia non solo diversa da quella per la quale tale strumento giuridico è previsto dalla legge ma anche in contrasto con norme imperative (ciò che caratterizza l'illiceità della causa), il giudice deve negare al negozio posto in essere dalle parti la tutela apprestata dall'ordinamento".
5.4. Giunti a questo punto, si possono trarre le dovute conclusioni.
La sentenza in esame non ha errato là dove ha osservato - esercitando la funzione di valutazione delle prove documentali - che i contratti conclusi tra le parti e sopra richiamati al punto 5.1.
erano tutti contratti veri, ossia contratti non simulati. Ciò tuttavia non esimeva il giudice di merito dall'obbligo di accertare - come del resto l'odierno ricorrente aveva ampiamente sollecitato con le richieste istruttorie avanzate in primo grado, reiterate in secondo grado e mai accolte - se l'utilizzo di strumenti contrattuali leciti non fosse finalizzato ad un obiettivo contrario alla legge, cioè quello di impedire al M., affittuario coltivatore diretto del fondo di proprietà D., di esercitare il proprio diritto di prelazione.
La sentenza impugnata è, sotto tale profilo, completamente silenziosa, risultando del tutto omessa ogni indagine circa l'esistenza di un possibile collegamento negoziale che, facendo da filo conduttore dell'intera operazione, consentisse di aggirare il diritto del M. attraverso una successione di contratti in apparenza del tutto legittimi. La Corte d'appello, infatti, pur dichiarando (pp. 26-27) di comprendere "i dubbi e le perplessità dell'appellante per la complessiva operazione operata dai D.", non è andata oltre una visione rigorosamente formale ed atomistica dei singoli contratti, presi nella loro ristretta individualità; e non ha verificato se essi, in considerazione della loro cadenza temporale e del definitivo assetto dei fondi rustici che ne è derivato, potessero eventualmente svelare una finalità contraria alla legge. Ed è evidente che, al cospetto di simile dubbio, diventa del tutto ininfluente la circostanza che il fondo rustico sia stato conferito in una società, sia essa di capitali o di persone, perchè tale aspetto è secondario.
Le censure di cui ai motivi in esame appaiono, quindi, fondate, sussistendo le relative violazioni di legge; così come sussistono i vizi di motivazione sopra descritti, che consentono di ritenere assorbiti il quinto e sesto motivo di ricorso (che contestano, infatti, altrettanti vizi di motivazione).
6. Il compito di questa Corte si arresta qui.
La sentenza impugnata è, dunque, cassata e il giudizio rinviato;
toccherà al giudice di rinvio, che si individua nella medesima Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione personale, procedere ad un nuovo esame del merito dando corso all'istruttoria che non è stata svolta nei precedenti gradi e che consentirà di valutare se la domanda del M. sia fondata o meno, secondo quanto in precedenza chiarito.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi primo, secondo, terzo e quarto del ricorso, assorbiti il quinto e il sesto, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 21 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2015
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